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Poveri Mangiari, Riso e melone

 

Nonostante la siccità abbiamo abbondanza di #meloni e vediamo di ficcarli in tutte le salse, ovvio che essendo di #Parma lo accostiamo anche al #prosciutto e ì modi sono diversi, se mi riesce qualcuno vedrò di riportarlo. Ma per non rovinare i meloni che quest’anno sono veramente eccezionali fate in modo di scegliere il giusto prosciutto che potrò consigliarvi in altra sede.

 

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Poveri mangiari "frittata di zucchine"

Finalmente le zucchine sono entrate in produzione e nonostante il caldo anomalo le nostre cocche continuano a donarci le uova.
E da buoni contadini e da discreti “rezdor” di quelli che oltre a fare di conto, proprio per fare quadrare il bilancio e tenere a dovere la cambusa e per non buttare le primizie si dilettano anche in cucina con due ingredienti del patrimonio contadino: il pollaio e l’orto.

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Poveri mangiari "I vertis"

 

Pochi lo sanno ma la varietà dei prodotti dell’agricoltura di quella che oggi è definita la #foodwalley, valle del cibo un tempo annoverava fra i tanti, coltivato verso Cervara, anche la coltivazione di piccoli appezzamenti di riso.

 

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Salame #felino cotto.

 

Oggi vogliamo suggerire un piatto che si inserisce fra i nostri “poveri mangiari” la rassegna di ricette che proponiamo sulle pagine del sito del nostro #agriturismo Ciato.

 

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Immagini da Facebook

Oggi voglio proporvi le immagini di albe e treamonti di Ciato #agriturismiparma #agriturismoparma. Seguiteci sulla pagina  https://www.facebook.com/agriturismociato 

 

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Poveri mangiari Pasta sporca.

 

E chi non sa che l’Emilia è terra di pasta e soprattutto di pasta ripiena?
Famosi e conosciuti i tortelli con i più svariati ripieni, così come gli anolini, tortelli, ravioli o cappelletti e cappellacci, ma pochi ricordano la “pasta sporca”, tanto di moda nei tempi che furono.

 

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Poveri mangiari Uova e funghi

Sembra che le nostre galline nonostante le temperature tutt’altro che primaverili abbiano deciso di deporre con costanza e abbondanza, cosi che le uova all’agriturismo Ciato non mancano e per non stancarci di cucinare uova vediamo ogni volta di cucinarli in modo diverso; ma per rimanere nel filone intrapreso dei “poveri mangiari” vediamo di cucinarli con ingredienti di basso costo o con rimanenze della nostra cambusa.

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Poveri mangiari Uova al forno.

In questi giorni della prima quindicina di aprile 2021, qui in Val Parma è tornato a fasi sentire il freddo di fine inverno e come diceva la mia nonna “chi’ga un bon soc in’tal cortil al la rispermia per mers e avril” Chi ha un bel legno nel cortile lo risparmi per marzo e aprile.

Ma in queste circostanze oltre a riavviare il camino è importante anche fornire calorie tramite il cibo, così che ieri sera sempre facendo spunto alle vecchie ricette, ma rivisitandola, vista la disponibilità dei formaggi in cambusa e l’impossibilità di avere i formaggi che faceva in casa la nonna.

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Poveri mangiari. Rape e borlotti

Così che oggi dopo la solita visita all’orto di Ciato ci siamo messi nella, purtroppo, inoperosa cucina dell’agriturismo per tenere in vita i fornelli.

Portavamo nel cesto una bella rapa fresca di orto di quelle dal colletto viola, quelle che non mancavano mai nella cucina degli amici “meneghini” Rapa viola di Milano, una carota. Un porro di dimensione media, una costa di sedano, qualche foglia di salvia, un mazzolino di prezzemolo.

Abbiamo attinto, avanti la sera, dalla cambusa pari quantità o poco più di fagioli borlotti, pancetta affumicata, due spicchi di aglio che male non fanno, visto quanto ci gira attorno, olio evo e come si conviene sale e pepe a piacere.

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Poveri mangiari, zucca violina

Oggi 6 marzo dell’anno 2021 giornata uggiosa, dopo quindici giorni di accenno primaverile; terminata la burocrazia, deprimente e per nulla creativa, terminate le preliminari azioni quotidiane ci siamo recati a conteggiare le scorte della nostra cambusa famigliare.

Notato un buon rifornimento di zucca violina della nostra pluriannuale selezione, che il mercato difficilmente riconosce, ci siamo sbizzarriti nella sperimentazione del suo utilizzo in cucina, per il diletto nostro personale, non potendo essere altrimenti, appagamento dei sensi.

Cosi che per distrazione e per soddisfare una emendata alimentazione abbiamo provato una zuppa e una frittata di ancestrale memoria.

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Passata di pomodoro

Perché prenotare la nostra passata, semplice, è l’unico modo per essere sicuri di poterla avere in cambusa.

E perché prenotarla quando costa qualche centesimo in più di quella dei supermercati?

Altrettanto semplice. Perché la nostra passata è frutto di pomodori coltivati esclusivamente in azienda, sulle terre di Panocchia, Parma, dove l’agronomo Carlo Rognoni (Vigatto23 marzo 1829 – Panocchia28 settembre 1904) le ritenne opportune e idonee per sperimentare e poi diffondere la coltivazione di un prodotto sino al tempo quasi sconosciuto, portandolo agli onori di un mercato internazionale, tanto è che nei primi anni del novecento sulla “Gazzetta di Parma” quotidiano locale si scriveva delle fabbriche di trasformazione del pomodoro “in cui si fabbricano milioni di milioni”.

Perché la bacca che produciamo è frutto di una selezione naturale che dura da circa 20 anni ed ha un genotipo molto simile a quello della tradizionale “Panocina” a cui abbiamo tolto acidità, coltivata agli inizi del secolo scorso su questa terra.

Perché siamo nel cuore non solo della food walley, ma al centro di quello che è il cuore della produzione del Nord Italia, dove la conformazione di queste terre è riconosciuta come la più idonea a tale coltivazione.

Perché la coltivazione è tradizionale, raccogliamo ancora bacca per bacca, rigorosamente a mano e facciamo selezione sul campo, come si fa per le uve destinate ai grandi vini, ed il prodotto viene trasformato immediatamente in azienda senza stoccaggi che potrebbero diminuire la qualità iniziale.

Perché è un prodotto artigianale senza aggiunta di conservanti dove intervengono solo la manualità e l’esperienza dell’uomo, il fuoco e il sale.

Perché trasformiamo solo il prodotto che matura quando, come diceva Giovannino Guareschi, “il sole padano picchia perpendicolare sulle teste”, periodo in cui la bacca trasmette tutte le sue potenzialità.

Perché comprare il cibo da chi lo produce un tempo era la regola e gli occhi dell’agricoltore riteniamo siano ancora la migliore etichetta.

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Poveri mangiari il piatto di oggi.

Così succede che se nelle ricche mense fanno bella mostra di se i più nobili condimenti, mentre al desco dei poveri mangiari ci si arrangiava con le cose che si potevano conservare nella gabbietta del ripostiglio e di quello che anche i meno nobili si potevano permettere in quanto frutto più della loro sapienza e lavoro che delle loro possibilità.

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capleni ed sucà -Cappelline di zucca-

Oggi 20 dicembre dell’anno 20 del secolo XXI, giornata di nebbia e pandemica, ancora invisibile si aggira il Covid 19, non rimane altro che dare legna al camino e dilettarsi in cucina provando le ricette della nonna Gigia (Clelia Gennari) tramandate per la maggior parte oralmente salvo qualche appunto su quaderno da copertina nera come usava all’inizio del secolo scorso.

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Poveri mangiari: vellutata di rapa

Questa mattina di ora lesta ho fatto un giro nell’orto, v’era una bella rapa viola di Milano ed un porro lungo di Albenga che misi nel secchio e colsi pure per il mio povero piatto un poco di profumi di salvia.

Fate attenzione d’avere in cambusa qualche nocciola, noce moscata, olio sale e pepe.

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Poveri mangiari

E quasi un anno che questa malvagia pandemia ci ha cambiato le abitudini, ci ha costretto a vivere di più la casa e di conseguenza la cucina, ed un diversivo o più diversivi era di obbligo trovarli, e fra i tanti una rilettura l’abbiamo fatta anche alle ricette della nonna appuntate sul nero quaderno dai fogli ingiallati e dall’immancabile riga rossa che ti invitava ad andare a capo.

Dei minestroni, non vi è nulla di appuntato, eppure si facevano spesso, mi ricordo avendola per fortuna conosciuta che spesso diceva alla mia mamma, insegnante indiscussa su alcuni piatti, “ag’metema col’caghemà“ ci mettiamo quello che abbiamo.

Si faceva un giro nell’orto e quello che si trovava si portava in tavola, già lo scriverlo mi rallegra, dalla terra alla tavola, la mia terra è ricca e maestra nell’imbandire una cucina.

Così ho scoperto che quello che prima facevamo per l’agriturismo, oggi chiuso in quella cucina con ogni elettrodomestico di attuale generazione facendolo per me mi dà la possibilità di sbizzarrirmi in nuovi ed avventurosi abbinamenti, di sostituire spesso alcuni ingredienti con altri recentemente introdotti nell’orto, riscoprire l’utilizzo di legumi e ortaggi di ancestrale memoria, come di antica memoria e la stufa economica su cui oltre che brave “resdore” cuoche le nostre mamme e nonne dovevano essere provette fuochiste e conoscitrici della tipologia della legna.

Aimè, quanto sapere abbiamo abbandonato.

Vediamo quindi di scaldarci la budella maiuscola con quello che or ora ho raccolto dall’orto e trovato nei vecchi vasi di vetro della mia cambusa e aggiungiamo questa ricetta a poveri mangiari https://www.ciato.it/news_dettagli.php?idnews=484

E quasi un anno che questa malvagia pandemia ci ha cambiato le abitudini, ci ha costretto a vivere di più la casa e di conseguenza la cucina, ed un diversivo o più diversivi era di obbligo trovarli, e fra i tanti una rilettura l’abbiamo fatta anche alle ricette della nonna appuntate sul nero quaderno dai fogli ingiallati e dall’immancabile riga rossa che ti invitava ad andare a capo.

Dei minestroni, non vi è nulla di appuntato, eppure si facevano spesso, mi ricordo avendola per fortuna conosciuta che spesso diceva alla mia mamma, insegnante indiscussa su alcuni piatti, “ag’metema col’caghemà“ ci mettiamo quello che abbiamo.

Si faceva un giro nell’orto e quello che si trovava si portava in tavola, già lo scriverlo mi rallegra, dalla terra alla tavola, la mia terra è ricca e maestra nell’imbandire una cucina.

Così ho scoperto che quello che prima facevamo per l’agriturismo, oggi chiuso in quella cucina con ogni elettrodomestico di attuale generazione facendolo per me mi dà la possibilità di sbizzarrirmi in nuovi ed avventurosi abbinamenti, di sostituire spesso alcuni ingredienti con altri recentemente introdotti nell’orto, riscoprire l’utilizzo di legumi e ortaggi di ancestrale memoria, come di antica memoria e la stufa economica su cui oltre che brave “resdore” cuoche le nostre mamme e nonne dovevano essere provette fuochiste e conoscitrici della tipologia della legna.

Aimè, quanto sapere abbiamo abbandonato.

Vediamo quindi di scaldarci la budella maiuscola con quello che or ora ho raccolto dall’orto e trovato nei vecchi vasi di vetro della mia cambusa e aggiungiamo questa ricetta a poveri mangiari https://www.ciato.it/news_dettagli.php?idnews=484

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Come si cucina il gallo.

Cerco di distrarmi da tutte le amarezze del food di oggi, dalle circostanze sfavorevoli, per dirla alla Calindri dal logorio della vita moderna e vedo di vivere una due giorni all’insegna di quella vita agreste vissuta negli anni cinquanta.

All’incirca del giorno 20 del mese di maggio era consuetudine cambiare sangue alla dinastia del pollaio sicché veniva sacrificato il vecchio gallo di non facile utilizzo in cucina.

Fatto frollare il gallo per due tre giorni già fiammeggiato, tagliatelo a pezzi salvando il petto che cucinerete a tocchetti passati nella farina, nell’ovo sbattuto, nel pane grattugiato e porterete a cottura in abbondante olio di girasole.

Le parti rimanenti passatele in abbondante olio evo, prezzemolo, giusta quantità di spicchi di aglio, una spruzzata di pepe e lasciate nel recipiente per un'altra notte.

In capace casseruola buttate carote e cipolla a tocchi medio grossi, abbondante burro e olio e rosolate i vostri pezzi di pollo a dovere, alla fine aggiungete una nevicata di farina e tostate velocemente.

Nel frattempo in tegame a parte avrete portato a bollore una bottiglia di passito di malvasia, flambate spegnete i fuochi ed unite.

Prendete la casseruola e mettetela in forno a 130/140 gradi per il tempo necessario 2.30/3.00 ore.

Frullate il fondo, restringetelo a piacere e riversatelo in casseruola assieme a scalogni caramellati con burro e zucchero.

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Ferragosto

E così, capita no, a me si, non so a voi. Capita, che a metà agosto, quando tutti han deciso di compiere il rito augusteo romano di portare le chiappe al mare, così come lo richiamava in vita anche Mussolini con i suoi treni agostani di terza classe, io me ne rimango nell’aia deserta di Ciato. 

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E si!, si fa presto dire vado all’agriturismo Ciato

E si!, si fa presto dire vado all’agriturismo Ciato, ma non ci si rende conto che ci si sta impolverando di una terra antica.

 

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Parma, agriturismo, tripadvisor, booking, trivago, bbplanet, bed-and-breakfast.

Se devi venire a Parma per mangiare, dormire, per turismo in generale e pensi di trovarmi girando e cercando su siti a pagamento, se pensi di trovare delle recensioni in ogni dove, se pensi di trovare qualche convenzione, sei fuori strada, non mi troverai mai, perché il mio MKT è antico più di me, le mie radici sono di qui, non sono un trapiantato, uno arrivato dalla città, sono cresciuto succhiando quei pochi nutrienti che questa terra da a chi l’ha saputa lavorare ed innaffiare con il sudore della sua fronte. Quindi la mia bisaccia è vuota di sali minerali, proteine e vitamine per alimentare altri corpi, qui non c’è spazio per chi pensa di poter vivere mangiando nell’orto del vicino. Questo è un ambiente burbero, scontroso, accigliato e scostante, dove il meglio lo tengo per me e per gli amici, un ambiente, però, dove, se entri in punta di piedi puoi gustare dei miei saperi, dei miei piaceri, dei miei tesori, senza nessuna mediazione.

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Vero o falso; di Mario Schianchi, Agriturismo Ciato.

Si racconta che un tempo i debiti nella zona di Bertinoro si pagassero in modo amabile o secco.

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Vini

Prosegue la nostra ricerca sui vini autoctoni e meno conosciuti del territorio ed è così che dopo l’uva Fogarina, abbiamo incontrato l’uva Spergola in versione brut. 

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Per chi interessato a una nuova agricoltura

http://cover.crpa.it/nqcontent.cfm?a_id=14741

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Ciato: bocca della #food walley

Soggiornare all'Agriturismo Ciato............

Ciato, bocca della Val Parma; dove le nebbie del #culatello e il vento Marino del #prosciutto di Parma si contrastano nel periodo invernale, dove l’arsura della pianura si scontra con le brezze dell’Appennino nel periodo estivo.                    

Il capriccio bizzarro di convivere con la natura, accettare le sue regole, soddisfare le sue esigenze , imparare da una Madre provvida ma allo stesso tempo severa e offrire agli ospiti l’occasione di vivere una parte del proprio tempo in campagna con la ri-acquisizione della vecchia tempistica del ciclo solare, dei suoi colori, odori, delle piante, dei gusti specifici delle sue cucine, senza perdere del tutto i confort propri della vita cittadina.

 

 

 

 

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L’oro a cui troppi aggiungono nichel. – “voce dei campi”-

Un tempo ci si confrontava sul solido e si premiava il sudore dell’arare, erpicare e seminare.

E non c’era viandante che non rivolgesse un occhio al vedere campi di grano a diciotto carati che impettiti affrontavano la face.

Me ne faccio memoria in questo sorprendete novembre, mentre cedevoli germogli sono accarezzati dal sole, che oggi, 22, rende la collina imbiancata dai primi cristalli di neve.

E mi stupisco, per fortuna pochi, di ospiti distratti che non rivolgano l’occhio al mio sudore; cittadini che provengo spesso dal debordare a vanvera delle città metropolitane che tolgono spazio all’oro degl’avi.

La domanda è quasi sempre impulsiva, seppur retorica: possibile che questi ritengano spontaneo lo show del grano.

Tuttavia il calendario confermerà lo spettacolo, Madre natura riconoscerà la mia prestazione, ed a giugno sarà un rigoglio di spighe, anche se, agli occhi di troppi tutto ciò è ovvietà, perché è sempre stato così.

Eppure quando la brezza viaggia sul campo, che quasi sembra un dolce mare dorato, le spighe parleranno, a chi ha orecchie per intendere, ma per alcuni sono tarpate; perché rintronati, immemori e circuiti dal frenetico andazzo che si ostinano a chiamare progresso sociale.

Molti, per fortuna passeggiano di buon ora lungo i confini dei campi, voraci di emozioni, di suggestivi incontri, bramosi di ascoltare un nuovo dialogo della terra con il geografico linguaggio del cielo.

Mi sono permesso di scrivere ciò perché ci si confronti sul vero è si smetta di raccontar fandonie.

Mi sono permesso ciò per informare chi ha orecchie e naso. Un pretesto per dire: se non di diffidare, di controllare accuratamente chi si fregia in modo quasi furtivo di un blasone –Made in Italy- che di fatto non gli appartiene, raggirando spesso norme che poco si sono confrontate sul vero, di chi spesso non onora la sua terra, non partecipa al suo nutrimento ma ben sì al suo immiserimento.

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Quei dopo cena irretiti all’Agriturismo Ciato

Questa sera convocato dalle rimembranze risfoglio il registro degli ospiti della ormai finita estate; delle belle serate passate sulle assi di quercia antica che da anni raccolgono i racconti, le storie, le emozioni e suggestioni degli ospiti e le macchie del lambrusco o dei rinforzi degli infusi di casa (senza che il convitato a più pollici che gli umani chiamano televisore mettesse il becco).

Allietato come sono dal rinverdire modi e personaggi, trovo giusto che Ciato, del sipario estivo appena chiuso, ricordi i grandi personaggi ed anche i piccoli che qui divengono grandi, aiutati dalle bocce di vino suadente e dagli infusi preparati con maestria da Sara…… tra gli strafalcioni di lingue confuse, che il luogo, la cordialità e disponibilità degli ospiti hanno reso quantomeno intesa fra vocaboli e gesta.

Qui si cerca di invecchiare sfottendo la sorte con l’arte dell’arlia, con il godimento della convivialità, con il gusto ed il piacere di cantare a dovere senza il timore di essere squadrati, con la propensione di essere tutti intesi quali che siano i liberi pensamenti sull’uso del mondo.

Così il rito dell’affabulazione si è protratto per tutta la bella stagione con quasi tutti i nostri ospiti: dai grandi produttori di meloni australiani che invadono mezzo mondo, che di buon’ora andavano al caseificio curiosi e bramosi di imparare l’arte, dalla star dell’enogastronomia televisiva smaniosa di conoscere il territorio, dalla famiglia californiana i cui figli non abbandonavano la cucina per imparare l’arte delle paste ripiene, dello chef pluristellato che ti insegnava le economie della ristorazione, del grande maestro della pasticceria, ricalcitrante, ma che si scioglie solo vedendo il culo della bottiglia di malvasia, dal manager che ti oltraggia l’orto e confonde cavoli e verze, dagli asiatici che ti accecano e adombrano le stelle con i loro flash. alle coppiette romantiche che sognano un mondo migliore.

 

Questa è stata la dolce estate di Agriturismo Ciato.

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