Cucina, Parma, Poveri mangiari, ceci

Giovedė 15 Febbraio 2018

Cucina, Parma, Poveri mangiari, ceci

Questo mio incedere a volte incerto a volte sicuro, parlando di cucina, trova conforto nelle parole di Torelli, un giornalista scrittore, ma ancor prima strayé (in giro, fuori sede) parmigiano: “Le memorie vanno rinverdite. Il passato esige che ogni velatura sia rimossa. 

 

Le cose andate invocano una scoperta amorevole. Quel che fu detto e fatto dagli illustri come dai piccoli compatrioti di ieri va rivisitato e rimesso in bella. Senza repertorio storico –ammetiamolo- perderemmo ogni consistenza parmigiana”. Ed è così, che in inverno mi ritaglio un po’ di tempo, proprio in senso di Po quando è in piena, per leggere, per scrivere. Lo faccio soprattutto per me, per salvare nel mio piccolo e personale teatro, come diceva Italo Ferrari, re dei burattini: “mettendo io, te e Bergnocla alla pari”. E mi sta anche bene, sentirmi testa di legno, un poco come Bergnocla, per reggere e resistere a tutte le bastonate di questa società. Bergnocla nato a Parma nel 1914 è il classico parmigiano popolare a volte quasi anarchico. Pane al pane, vivo al vino, questo il linguaggio della maschera; le cose che la società non vuole sentirsi dire, le verità scottanti, la satira pungente rivolta a chi governa in modo poco elegante, per non usare come faceva lui aggettivi tutti parmigiani, che però renderebbero più lucente e comprensibile ed anche più simpatico ed accattivante il discorso per il mio teatro. Un teatro con scarna scenografia, nessuna luce, se non quella riflessa di un piccolo monitor, tutto mio e personale, che si perde nella cianfrusaglia, nell’immensità, nella modernità di tanta roba, per me di nessun o poco pregio e senso. Questa globalizzazione che tutto mischia, mescola, manipola e amalgama in nome di un "dio" che non c’è e di un "io" che è solo e colmo di ignorante avidità, bramoso di governare un pianeta che ha un preciso limite di sopportazione, che l’uomo non conosce né può gestire. Così io ultimamente cerco di illudermi e di passare i miei inverni da sovrano, trastullandomi, dilettandomi anche in cucina, annusando profumi, aromi, sapori e perché no anche odori, che tuttavia ben si discostano e si dissociano dalla lordura della globalizzazione. Cosicché oggi in cucina sentiremo odori di orto, di campo e di porco. Oggi si fan ceci per tre. Prendiamo i ceci che abbiamo messo in ammollo ieri sera dopo avere riassettato il secchiaio, non chiedetemi la quantità, già avrete notato che spesso viaggio, da buon parmigiano, a sentimento. Vuol dire che se vi risultano scarsi la prossima volta aggiusterete il tiro. Lessate i ceci con una/due foglie di alloro. In un tegame a parte rosolate pancetta di porco fatta a dadini piccini con rosmarino tritato con mezzaluna, siate coerenti non usate aggeggi elettrici che tolgono e variano l’aroma.

Fate un buon brodo vegetale, a brodo caldo, buttiamo i ceci, facciamoli insaporire e scaldare, aggiungiamo la rosolatura e serviamo in fondina. Se proprio avete sbagliato di grosso le quantità e nella fondina pensate di veder poca roba, potete sempre correggere senza dir nulla con qualche tocchetto di pane che farete saltare, nel tegame dove avete rosolato la pancetta, con un poco di burro. E come si dice salutandoci in parmigiano; tgnemoos vist, teniamoci visti.

 

 

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