Sabato 24 Febbraio 2018
Può succedere che, anche nella città emiliana della musica, che ha dato i natali a Peppino e Toscanini, negli anni correnti le note scivolino sul pentagramma con stonature da far tremare tutto il loggione del Regio. Se sei di quelli che fischiettano il “Va pensiero” e intonano “la rondanena” ed entri in quei luoghi che assecondano il marketing, che oggi impropriamente vengono chiamate degusterie, buona esca per i piccioni che frequentano i posti turistici, non puoi che inorridire vedendoti servita una scodella o peggio un tegamino di alluminio con dentro dieci galleggianti in brodo trasparente.
L’anolino (volgarmente chiamato anche galleggiante in quanto galleggia nel brodo di terza) anolén, in vernacolo, è una cosa seria. Prima di tutto deve essere fatto rigorosamente in modo artigianale, ha misure e caratteristiche ben precise, va servito in fondina o più semplicemente si porta la zuppiera in tavola. Nel frattempo che consumiamo biasimevoli anolini, Parma è stata proclamata città della “Cultura 2020”, di una cultura forzatamente integrata e internazionale che sta slavando con il sapone della Leonarda Cianciulli nell’impeto della Pärma voladora la “sua” cultura di “Petit Capital”. Quella cultura che fece sì che David Long dopo una visita a Parma, ne rimase talmente impressionato che tornando a Greenbrier nell’Ohio la ribattezzò Parma. Cultura più che internazionale tanto è, che giusto giusto un anno fa venne insignita dall’Unesco non “Città Creativa per la Gastronomia” ma badate bene: “Parma City of Gastronomy” sia mai che uno venga a Parma per Pärma. Cosi nei prediletti borghi della mia città subentrano le degusterie alle osterie di primitiva memoria, passate da generazione a generazione. Il mercato della Ghiaia non si riempie più dei bei colori che arrivavano dal contado e le serrande dei borghi diventano tele che ospitano graffiti, i chioschi dove risuonavano le voci colorate dei mercanti e dei suoi avventori non esistono più. Là dove la Tilde vendeva le caldarroste e Celo la pattona, Carlino la torta fritta e altri… , ma senza romperti i coglioni; oggi, trovi i rompicoglioni di Iodwu o Alaba, Oba a Ola ben più numerosi e che da vendere hanno ben altra roba. Oggi visto la mestura il mescolamento che abbiamo in città vediamo di rimescolare quello che troviamo nel frigo, ma non già per adeguarci al presente ma per ricordare antichi sapori. In toscana mi dicono si chiami ribollita, qui la mia nonna la chiamava Supa boiuda zuppa bollita. E’ indispensabile avere aglio, cipolla, olio, pomodoro concentrato e fagioli, pane possibilmente azimo, poi ci si arrangia. Ora vediamo nel nostro frigo quali verdure dobbiamo finire, tipo: Patate, sedano, cavolo verza, cavolo nero, carota e facciamo tutto a pezzetti. Nel frattempo avremo fatto lessare un poco di fagioli possibilmente cannellini, più di metà li frulliamo nella loro acqua di cottura. Facciamo soffriggere una cipolla in pentola con un poco di olio. A cipolla imbiondita aggiungiamo se li abbiamo pezzi di pomodoro o più semplicemente un poco di concentrato, aggiungete i fagioli e le altre verdure. Salate pepate e mettete aromi a piacere tipo timo ecc. Lasciate cuocere per 2 ore almeno dopo avere aggiunto giusta acqua. La zuppa va servita su un fondo di crostini di pane precedentemente abbrustolito e strofinato con l’aglio.