Venerd� 17 Agosto 2018
E così, capita no, a me si, non so a voi. Capita, che a metà agosto, quando tutti han deciso di compiere il rito augusteo romano di portare le chiappe al mare, così come lo richiamava in vita anche Mussolini con i suoi treni agostani di terza classe, io me ne rimango nell’aia deserta di Ciato.
Si perché qui turisti in agosto, manco se li paghi, anche se qualche buon’anima sostiene il contrario. Così che mi trovo quasi da solo, senza neanche un cane che non ho, il mio orto che reclama acqua e qualche pianta da frutta con le foglie che più che fare ombra cercherebbero ombra. Non vado al mare, detesto il casino e i prezzi che lievitano più della pasta da pane e nemmeno mi va di portarmi nei campi, preferisco l’ombra del mio portico dove ci si infila quell’arietta che scende anche lei lenta e svogliata dalla val Parma. Ma per chi si alza prestino la giornata è lunga e bisogna pur tirar sera e allora mi diverto. Visto che anche a ferragosto qui si conserva l’abitudine dei tre pasti giornalieri, mi diverto, considerato che le cavie son massimo tre e con il caldo mangiano anche meno, mi diverto ad inventare o rivisitare piatti di un tempo, perché gli antenati, un po’ per pigrizia, un po’ per mancanza di tempo, un po’ perché anche loro erano più dei moderni portati all’invenzione e all’uso di quel che c’era, raramente lasciavano memoria scritta. E così in questi due giorni gironzolando, svogliato come il marino (aria della val Parma che asciuga i prosciutti), intorno a casa raccogliendo quel che passano piante o orto, mettendo a rischio qualche etto di farina o manciata di riso mi sono alimentato con i piatti che vedete qui in foto. (risotto con chicchi di uva moscato rosso, focaccia ripiena fichi e chicci di uva)
A proposito cicale… se passate da qui nel frattempo qualche vasetto di confetture e passate c’è anche per voi.