- Marted๏ฟฝ 03 Maggio 2022
- Torna "fra aia e cucina" Tourism Various
La valle del cibo

Per gli amanti dell’enogastronomia e alla ricerca del buon cibo e del vino oggi anche il nostro Paese offre numerose e infinite opportunità.
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Per gli amanti dell’enogastronomia e alla ricerca del buon cibo e del vino oggi anche il nostro Paese offre numerose e infinite opportunità.
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Oggi vogliamo suggerire un piatto che si inserisce fra i nostri “poveri mangiari” la rassegna di ricette che proponiamo sulle pagine del sito del nostro #agriturismo Ciato.
MoreOggi voglio proporvi le immagini di albe e treamonti di Ciato #agriturismiparma #agriturismoparma. Seguiteci sulla pagina https://www.facebook.com/agriturismociato
Viene aggiornata giornalmente.
https://www.facebook.com/agriturismociato/posts/405811918212997?notif_id=1650433646712338¬if_t=feedback_reaction_generic&ref=notif
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Poeti cantanti scrittori, in tanti hanno diviso la vita in stagioni, così ci stiamo provando o forse adeguando anche noi dell’agriturismo Ciato.
Pur rimanendo fedeli all’attività primaria che è quella dell’agricoltura, che ci ha comunque visti spesso protagonisti di innovazione e cambiamento e sperimentazione al fianco di prestigiose scuole ed enti, nell’ambito dell’attività collaterale agrituristica abbiamo avuto le nostre mutazioni.
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Entrate con grinta, siete in Emilia e se all’ingresso vi offrono un bicchiere di vino, non è detto che tutte le porte e tutti i segreti ve li mettiamo a portata di mano. Chiedete con forza ed insistenza, questa terra a mille e forse più cose da dirvi, ma vanno cercate con determinazione.
Addentratevi cercate di penetrarla, corteggiatela questa terra parmigiana, se veramente volete capirla. Diversamente resterà, per voi avventurieri, un enigma e la lascerete con le conoscenze che già avevate nel vostro bagaglio.
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Oggi la cucina era tutta mia è vista la generosità delle mie galline per ringraziare loro e omaggiare il mio palato e rendere lode al cielo mi sono cucinato il “sole in un cirro” ricetta trovata nella mia raccolta di “poveri mangiari.
Di mattino mettete in frigorifero le uova che vi occorrono a seconda dell’appetito e dei commensali, una ciotola adatta a sopportare le fruste del vostro battitore e le fruste medesime, il tutto vi sarà di aiuto a montare le chiara (albume)
All’ora di pranzo separate il tuorlo senza romperlo dall’albume che metterete nella ciottola tolta dal frigorifero.
Montate le stesse con un pizzico di sale, stendete l’albume su carta da forno dandogli una forma di cirro con un piccolo incavo al centro in cui con attenzione adagerete i tuorli.
Nel frattempo avrete portato il vostro forno a circa 160/170° pronto per tenere le uova 7/8 minuti regolate a piacere di pepe sale zenzero o quella spezia che più vi stuzzica e buon appetito.
MorePoveri mangiari, la mera sopravvivenza delle povere famiglie di quella campagna che fu che dall’orto “ed derdè ca” dovevano procurarsi qualche cosa da mettere nel piatto di tutti i giorni, quella dignità che li faceva vivere.
La varietà e la ricchezza del proprio orto donavano armonia, colore e sostanza a quelle fantastiche casseruole di terra cotta poste sulla cucina economica il cui calore non solo scaldava la stanza ma rallegrava anche la budella maiuscola.
Il minestrone della mamma Anselmina variava a seconda della stagionalità e di quanto era riuscita a conservare nella moscarola che teneva giù in cantina dove nessun raggio di sole poteva entrare e il fresco del ventre di madre terra allungava la conservazione degli alimenti.
La cucina della mamma emanava un odore unico e i travetti e le travi di legno erano impregnati di un odore che dava il senso del desco.
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E’ possibile, almeno ad alcuni succede che alcune cose arrivino in controsenso al cocente sole padano, immagini di un gelido inverno riportate alla mente dal casuale spostamento del libro “Pagine di diario” cosi che nella mente balugino le frasi del poeta Francesco Giuliani, pastore d’Abruzzo.
๐๐ช ๐ด๐ฆ๐ต๐ต๐ฆ๐ฎ๐ฃ๐ณ๐ฆ ๐ข๐ญ๐ญ๐ฐ๐ณ ๐ท๐ฆ๐ณ๐ด๐ฐ ๐ญ๐ข ๐ง๐ช๐ฏ๐ฆ
๐ญ๐ข๐ด๐ด๐ถฬ ๐ฏ๐ฆ๐ญ ๐ฏ๐ฐ๐ด๐ต๐ณ๐ฐ ๐๐ข๐ฎ๐ฑ๐ฐ ๐๐ฎ๐ฑ๐ฆ๐ณ๐ข๐ต๐ฐ๐ณ๐ฆ, ๐ด๐ถ๐ญ๐ญ’๐ข๐ญ๐ต๐ฆ ๐ท๐ฆ๐ต๐ต๐ฆ, ๐ฆ ๐ฑ๐ถ๐ณ ๐ด๐ถ๐ญ๐ญ๐ฆ ๐ค๐ฐ๐ญ๐ญ๐ช๐ฏ๐ฆ
๐ท๐ช ๐ด๐ค๐ฆ๐ฏ๐ฅ๐ฆ ๐ฅ๐ฆ๐ญ๐ญ๐ข ๐ฏ๐ฆ๐ท๐ฆ ๐ช๐ญ ๐ฃ๐ฆ๐ญ ๐ค๐ข๐ฏ๐ฅ๐ฐ๐ณ๐ฆ, ๐ฃ๐ช๐ข๐ฏ๐ค๐ฉ๐ฆ ๐ญ๐ฆ ๐ท๐ข๐ญ๐ญ๐ช ๐ฆ๐ฅ ๐ช๐ญ ๐ฑ๐ช๐ข๐ฏ๐ฐ ๐ฅ๐ช ๐ฃ๐ณ๐ช๐ฏ๐ฆ
๐ต๐ช ๐ฑ๐ถ๐ฏ๐จ๐ฆ ๐ช๐ญ ๐ง๐ณ๐ฆ๐ฅ๐ฅ๐ฐ; ๐ญ๐ฆ ๐จ๐ณ๐ฆ๐จ๐จ๐ช ๐ฆ ๐ช๐ญ ๐ฑ๐ข๐ด๐ต๐ฐ๐ณ๐ฆ ๐ฏ๐ฐ๐ฏ ๐ท๐ช ๐ฑ๐ฐ๐ฏ๐ฏ๐ฐ ๐ฑ๐ช๐ถฬ ๐ด๐ต๐ข๐ณ๐ฆ ๐ด๐ฆ๐ฏ๐ป๐ข ๐ณ๐ช๐ฑ๐ข๐ณ๐ช
๐ข ๐ฑ๐ข๐ณ๐ต๐ช๐ณ๐ฆ ๐ค๐ฐ๐ฏ๐ท๐ช๐ฆ๐ฏ ๐ค๐ฉ๐ฆ ๐ด๐ช ๐ฑ๐ณ๐ฆ๐ฑ๐ข๐ณ๐ช.
Di buon’ora, prima che qui in padania, il sole cuocia le teste e faccia diminuire la concentrazione nostra e degli oli essenziali delle erbe dell’orto mi sono fatto un giro e ho cavato qualche cipolla borettana, una testa di aglio per vedere se prima della notte del solstizio si possa cavare e mettere in andana affinché abbia a beneficiare della rugiada di s. Giovanni che oltre a conferirgli poteri misteriosi ne ritarderà la germinazione.
MoreRaccontano che Parma si la capitale dell’enogastronomia, che la valle che ha sentito il nostro primo vagito sia la valle del cibo. Noi abbiamo fede, quasi ci crediamo, forse per indottrinamento, probabile perché c’è l’hanno inculcato da quando eravamo piccoli e come un mantra continuano, o forse è vero; non sappiamo, non siamo integralisti ed ancor meno detentori dell’assoluto, ma siamo certi che se volete un piacere unico, esclusivo che non si pone come il migliore, ma come unico, che trova memoria nella notte dei tempi, nella tradizione senza età, ecco, prima che tutto vada a finire nell’oblio, conviene avanti che il fuoco delle cucine taccia per sempre, un pernotto all’agriturismo Ciato, dove ancora per passione e per pochi, tempo e accadimenti permettendo si possono gustare le irripetibilità dei poveri mangiari consumati sotto il portico che volge al maniero emerso sul colle per atto amoroso, accarezzati dalla brezza marina che racchiude in se l’odore del maiale e l’olezzo del prosciutto coronato. Una dimensione nuova dell’esistere, dove ancora si possono al rintocco dell’ordinotte iniziare a vivere poetiche notti estive.
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Il pane è arte e scienza e come la musica è l’organizzazione dei saperi, delle note e dei silenzi, accordati nello spartito del tempo e nello spazio.
Un’arte ricercata per conseguire determinati effetti che riescono ad esprimere l’interiorità dell’individuo e del territorio dove nasce.
Tutto avviene mediante la maestria e l’utilizzo sapiente di strumenti e ingredienti espressione di un territorio che, attraverso i principi della chimica, dell’acqua e del fuoco procurano la percezione gustativa e olfattiva, l’avventura emotiva voluta dall’artista.
Non a caso l’etimologia della parola pane sembra potersi ricondurre alla radice “pa”, alimento essenziale e fondamentale, quasi sacrale, a prescindere dalla sua forma.
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Oramai la raccolta delle piaciute fave è agli sgoccioli; messe sottovuoto quelle per la congelazione, rimangono quelle che si porteranno ad essicazione, vuoi per il consumo secco in inverno, sia quelle per la riproduzione al fine di mantenere in vita questa varietà di fava grossa.
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In questi giorni della prima quindicina di aprile 2021, qui in Val Parma è tornato a fasi sentire il freddo di fine inverno e come diceva la mia nonna “chi’ga un bon soc in’tal cortil al la rispermia per mers e avril” Chi ha un bel legno nel cortile lo risparmi per marzo e aprile.
Ma in queste circostanze oltre a riavviare il camino è importante anche fornire calorie tramite il cibo, così che ieri sera sempre facendo spunto alle vecchie ricette, ma rivisitandola, vista la disponibilità dei formaggi in cambusa e l’impossibilità di avere i formaggi che faceva in casa la nonna.
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Questo piatto nasce dall’esigenza di non buttare le viole di campo raccolte per preparare il Purple Gin, ottimo digestivo per le serate in attesa dell’arrivo della primavera.
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Così che oggi dopo la solita visita all’orto di Ciato ci siamo messi nella, purtroppo, inoperosa cucina dell’agriturismo per tenere in vita i fornelli.
Portavamo nel cesto una bella rapa fresca di orto di quelle dal colletto viola, quelle che non mancavano mai nella cucina degli amici “meneghini” Rapa viola di Milano, una carota. Un porro di dimensione media, una costa di sedano, qualche foglia di salvia, un mazzolino di prezzemolo.
Abbiamo attinto, avanti la sera, dalla cambusa pari quantità o poco più di fagioli borlotti, pancetta affumicata, due spicchi di aglio che male non fanno, visto quanto ci gira attorno, olio evo e come si conviene sale e pepe a piacere.
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Così succede che se nelle ricche mense fanno bella mostra di se i più nobili condimenti, mentre al desco dei poveri mangiari ci si arrangiava con le cose che si potevano conservare nella gabbietta del ripostiglio e di quello che anche i meno nobili si potevano permettere in quanto frutto più della loro sapienza e lavoro che delle loro possibilità.
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Oggi vediamo di preparare un contorno utilizzando ingredienti di così definito basso valore.
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Non uso seminare cavolo nero, ma può capitare che fra i semi del cavolfiore o del cavolo cappuccio ci sia qualche seme di cavolo nero, ed allora perché buttarlo, magari serve per una ricetta per “poveri mangiari”; il crinale non sempre divide, anzi, se parliamo di cucina spesso contamina ed in terra di Luni il cavolo nero è utilizzato alla grande.
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Fatevi una passeggiata nel bosco e raccogliete un po’ di castagne meglio se sono marroni, al ritorno andate nell’orto e raccogliete un sedano rapa medio, e quello che vi aggrada per fare poco più di mezzo litro di brodo vegetale; assicuratevi di avere in cambusa gli ingredienti rimanenti per il brodo e una piccolissima patata, una cipollina, meglio se borettana, uno spicchio di aglio, olio sale e pepe e una fettina di pane casareccio.
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Oggi 20 dicembre dell’anno 20 del secolo XXI, giornata di nebbia e pandemica, ancora invisibile si aggira il Covid 19, non rimane altro che dare legna al camino e dilettarsi in cucina provando le ricette della nonna Gigia (Clelia Gennari) tramandate per la maggior parte oralmente salvo qualche appunto su quaderno da copertina nera come usava all’inizio del secolo scorso.
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Così che ieri facendo la vellutata di rapa viola di Milano, essendo le stesse quest’anno di buona pezzatura ed avendo preparato due sole porzioni utilizzando testa e coda, della rapa ci è rimasta la parte centrale, che per non dare dispiacere alla nonna che diceva di non buttare mai le cose da mangiare ne abbiamo fatto delle bianchissime ruote dello spessore di circa un centimetro abbondante.
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Ed anche oggi vista l’abbondanza dell’orto proponiamo una zuppa con base di Cavolo cappuccio, un altro piatto dei poveri mangiari.
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Oggi nove agosto dell’anno del Signore 2020, il sole picchia perpendicolare sulle teste padane ed è domenica, i lavori dei campi non sono impellenti, almeno qui alla fattoria Ciato, e vagabondando fra le scie dell’orto, mi tonano alla mente la mamma e la nonna, i loro piatti frugali e i “poveri mangiari” racconti e ricette di questa pedemontana parmense che sto cercando di fare e raccontare.
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Oggi, mese di giugno avanza e si avvicina a passi ponderati la magica notte di S. Giovanni, patrono dell’amicizia, notte del solstizio d’estate, le cui origini si perdono nelle celtiche fedi.
Notte delle stregonerie, dei rabdomanti delle lucciole e degli innamoramenti, notte degli incantesimi dalle misteriose cariche astrali, dei fiori di zucca, simbolo della fortuna e abbondanza, delle noci e dei tortelli di erbetta.
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Oggi siamo nell’orto e presto avremo le prime tomacche.
Che Panocchia sia la terra che ha accolto per prima il pomodoro nel nord Italia credo che oramai lo sappiano tutti, anche se per strane vicissitudine politiche lo si ricorda più nei paesi vicini, ma noi Panocini c’è ne siamo fatti una ragione, lo dicono anche i proverbi della Pedemontana seppur meno autorevoli delle latine citazioni: Nemo propheta in patria.
Ma non siamo qui per disquisire di storia bensì per parlare di un uso oramai desueto della nostra bacca.
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